di Francesca Panaioli
*Titolo dell’album di Franco Battiato (1985)
Correva l’anno 1989; la data del 3 ottobre è scolpita nella mia memoria perché oltre a compiere 13 anni, per la prima volta varcavo l’ingresso di un palazzetto per un concerto. Ricordo ancora il cuore battere a mille, mentre tenevo il passo di mio fratello, di 4 anni più grande e di un suo amico. Il biglietto, con la complicità dei miei genitori, me l’aveva regalato proprio lui: forse il patto, a me nascosto, era stato “se vuoi andare al concerto ti porti tua sorella”, ma a me poco importava delle trame familiari a supporto della partecipazione al mio primo concerto. Mi importava essere lì, pronta a cantare le canzoni che ogni giorno accompagnavano le mie giornate: le canzoni di Vasco.
Di quella serata ricordo le persone, l’odore acre del fumo, gesti e atteggiamenti a me sconosciuti che mio fratello, a fronte delle mie domande, liquidava con un “guardati il concerto e non rompere”. Insomma, una bambina che si affaccia all’adolescenza cantando di vite spericolate e serate al Roxy Bar, di fegati spappolati (da cosa poi lo scoprirò solo in seguito), di storie d’amore naufragate e di richieste impetuose al mondo.
Per parlarvi di adolescenti e musica ho deciso di partire da me; di cercare nelle pieghe della memoria per provare a raccontarvi di quanto sia stretto questo rapporto, di quanto possa aiutare nel processo di crescita. Ma andiamo con ordine.
Cresco con la mia musica
Adolescenza. Uno dei periodi più complessi: tutto viene messo in discussione, si cerca di fare il salto nell’età adulta, le certezze vengono meno, si è alla ricerca della propria identità e della propria autonomia. Esplodono gli ormoni, il corpo cambia e tutto quello che accade viene enfatizzato e percepito di vitale importanza. Insomma, una gran confusione da riordinare o, quanto meno, alla quale i ragazzi cercano di dare un senso.
Ed è qui che entra in gioco, con un effetto salvifico, la musica, che aiuta i ragazzi perché parla per loro, dando voce a paure, pensieri e sentimenti. Richard Rentfrow, ricercatore di uno studio pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology, ha dichiarato che l’adolescenza è dominata dalla necessità di definire la propria identità e la musica è un modo economico ed efficace per farlo. Ne possiamo dedurre che ascoltare musica ha quindi un grande valore sociale, ma non solo; ascoltare la stessa musica fa sentire parte di un gruppo, tanto da diventare una parte del nostro senso di identità.
So che state inorridendo: pensate alla trap, ai testi carichi di odio e violenza. E potrei anche essere d’accordo. Ma se penso a quello che è passato nel mio walkman, preferisco soffermarmi un attimo e riflettere. Come dicevo, la musica è una sorta di rispecchiamento, ma non significa che quello che gli idoli musicali cantano sia poi messo in pratica dai ragazzi; parliamoci chiaro, per tornare all’esempio di Vasco, il mio fegato sta bene, le serate a un ipotetico Roxy Bar le ho trascorse, certo, ma senza trasformare la mia vita in una vita spericolata.
Insomma, la musica oltre a dar rifugio ai ragazzi, offre loro l’opportunità di costruire un mondo in grado di escludere gli adulti; almeno per il tempo di una canzone, possono so-stare in un mondo in cui si sentono compresi.
E gli adulti?
Veniamo alla parte più complessa. Parlando con insegnanti ma anche con i genitori la domanda che più spesso mi sento fare è ma come faccio a staccarlo dalle cuffie? La mia risposta, un po’ provocatoria, è quasi sempre perché invece non comprate un doppio jack e provate a sintonizzarvi sulla loro musica?
Provate a connettervi con il mondo dei ragazzi; farlo attraverso la musica può essere un modo utile per entrare in sintonia, per ascoltare le parole di quelle canzoni che spesso consideriamo come dannose ma che invece sono un tentativo di comunicare qualcosa che i ragazzi ancora non sono in grado di dire e raccontare con parole loro. Ci sono la rabbia, il dolore, il desiderio di trovare il proprio posto in un mondo che corre veloce ma è disseminato di incertezze e problemi.
E sempre in tema di cuffiette, molti genitori si domandano se studiare ascoltando musica sia utile o dannoso. Una risposta univoca non c’è. Per esempio, io studiavo ascoltando musica straniera: mi aiutava a concentrarmi, a isolarmi dalle distrazioni del mondo esterno. Ma non è uguale per tutti; alcuni studenti dello sportello scolastico dove lavoro, mi raccontano di come la musica li aiuti a ricaricarsi. Per alcuni è un sostegno allo studio proprio come lo era per me, per altri è distrazione e quindi si dedicano all’ascolto della musica per ricaricarsi o rilassarsi.
Insomma, in questo delicato rapporto tra mondo degli adulti e adolescenti a mettere le distanze pare ci si metta anche la musica. Ma noi dovremmo solo pensare che ci sono i ragazzi, con le loro abitudini, le loro propensioni e la loro voglia di urlare al mondo gioie e dolori: la musica diventa un mezzo, un medium che in qualche modo li aiuta a trovare il loro posto, a stringere relazioni e, come detto, a dar voce a pensieri, paure e sentimenti.
Siamo sinceri: è stato così per tutti noi e, diciamocelo, lo è ancora. Provate a riascoltare un brano che ha accompagnato la vostra adolescenza: forse riderete di un testo in cui oggi faticate a riconoscervi o forse no, ma quanta adrenalina in quei ricordi!
È il tempo di non condannare la musica che ascoltano i ragazzi di oggi. Certo, c’è stato e c’è di meglio. Ma c’è anche un punto in comune: la musica è indispensabile, indipendentemente dal genere, e accompagna il salto nell’età adulta.
Articolo scritto ascoltando “Either/Or” di Elliott Smith (1997).
Francesca Panaioli, Pedagogista e Responsabile della Formazione per Spazio Aperto Servizi.
Da anni è impegnata nelle scuole con attività di consulenza rivolte a genitori e docenti della scuola secondaria e progetta e realizza attività laboratoriali per i ragazzi su tematiche diverse.
Quando non lavora guarda il mondo attraverso la sua macchina fotografica.