di Riccardo Pardini*

Il conflitto nello sviluppo infantile e il ruolo dei grandi.

E dunque parliamo di conflitto, ne parliamo tantissimo. Ne parliamo di continuo e a volte troppo. Detto da uno come me poi, col mestiere che faccio, sembra un gioco di parole ricorrenti vagamente ironico. Un professionista quotidianamente alle prese con le complessità della dimensione familiare, dello sviluppo infantile e delle famiglie. Uno specialista del conflitto soprattutto e della crisi. Ma davvero il conflitto è la ritmica della vita; un necessario equilibrio tra scelte, dilemmi, contrasti, ambivalenze. È una grande scocciatura, un’impantanante fatica, ma è anche un vero motore di crescita e d’apprendimento.

Attraversare un conflitto significa lavorare al recupero dell’equilibrio perduto nella crisi, imparando qualcosa di nuovo, trasformandosi. Significa apprendere. Lo racconta chiaramente un autore a me molto caro fin dai tempi degli studi universitari: Jack Mezirow e la sua formulazione della teoria dell’apprendimento trasformativo.

Il conflitto è inevitabile e assume forme differenti in età diverse della nostra vita, per certi versi è una colorazione tipica e interessante della vita stessa. È una direttrice naturale dell’esperienza umana, a partire dall’infanzia.

Ma noi, gli adulti, come lo viviamo? cosa suscita in noi? Cosa rappresenta? Dobbiamo interrogarci e tenerlo a mente perché è attraverso questa prospettiva che leggiamo poi il conflitto infantile e su di esso interveniamo con responsabilità.

Il litigio nei bambini e nei ragazzi

Per i bambini e per i ragazzi litigare è un’esperienza naturale, strettamente correlata alla normale esplorazione di se stessi e delle relazioni. Un’esperienza sicuramente forte, capace di scatenare molta emotività. Per questo, generalmente le liti restano impresse a lungo nella nostra memoria e questo fenomeno ci offre l’opportunità di poterle “rileggere” in un secondo momento, magari identificando significati nuovi o diversi da quelli vissuti a caldo, al momento.

Il ruolo e la reazione degli adulti si rivelano pertanto decisivi. Perché aiutano le parti in causa a rileggerla quella lite, a ripensarla, a ragionarne nuovamente. Con attenzione però, poiché il nostro intervento potrebbe risultare disorientante. Ad esempio, se cedessimo alla tentazione di attribuire all’accaduto contenuti presunti, immaginati e da noi proiettati che finiscono inevitabilmente per cambiare il senso, il significato, la percezione di quello che è successo ai protagonisti. Quando assistiamo a un litigio infantile, dovremmo anzitutto occuparcene, se necessario, creando uno spazio e un tempo per parlarsi piuttosto che procedere con una soluzione, un’interpretazione, un parere. Dovremmo anzitutto creare lo spazio democratico del parlarsi non tanto inteso come discutere, piuttosto come raccontarsi.

I litigi infantili, ad esempio, hanno rassicuranti caratteristiche tipiche evidenziate, peraltro, da diverse ricerche. Per iniziare, possiamo dire che sono una parte quasi inevitabile del giocare assieme e dello star dentro una relazione tra pari. Sono, si dice, pervasivi. I bambini litigano molto di frequente, bisticciano con una media di circa 11-12 episodi ogni ora, se prendiamo a riferimento gruppi di bambini della scuola dell’infanzia. Insomma litigano davvero molto e con la stessa frequenza fanno autonomamente anche la pace. I bambini, in effetti, tendono ad autoregolarsi. La lite poi, ha una base relazionale e questo significa molto semplicemente che più sono amici, più litigano senza il rischio che si facciano seriamente del male.

Qual è il ruolo di noi adulti?

Iniziamo ricordando che non è utile impegnarsi nella strenua ricerca di un colpevole che magari non c’è. Perché generalmente non c’è. Anzi rischieremmo così di recitare il ruolo degli inquisitori, dei giudici o dei censori, magari arrivando a imporre una soluzione esterna. Questo creerebbe l’erroneo apprendimento infantile riassumibile con la frase: “Il litigio ci aiuta ad attirare prepotentemente l’attenzione del “terzo” adulto; sollecitandolo, compiacendolo, provocandolo, manipolandolo e orientando l’azione verso ciò che immaginiamo l’adulto si attenda da noi”. La lite infantile nel tempo perderebbe così la sua fisiologica naturalezza, divenendo una strategia per richiamare attenzione, per ricevere considerazione. Certo vederli litigare, magari con un certo vigore, ci attiva e ci allerta. Temiamo che non siano capaci di contenersi magari finendo per farsi davvero e seriamente del male. In realtà alcuni ricercatori ci raccontano che i piccoli non dispongono (fino almeno al sesto anno di vita e considerando minori senza tratti critici o fragilità cliniche) abilità cognitive in grado di portarli ad intraprendere un’azione consapevolmente lesiva.

E dunque che fare?

  • Accompagniamoli e sosteniamoli affinché possano parlarsi di questo o quel litigio, esplorando assieme a loro i bisogni che l’hanno generato, unitamente a cos’abbiano “sentito e agito”.
  • Aiutiamoli a recuperare quegli elementi che al momento possono essergli sfuggiti per via delle emozioni, dell’azione, del contendere, della concitazione. Perché c’è sempre qualcosa che sfugge alla percezione dei litiganti. L’obiettivo è attivare un processo, un breve tempo ed un luogo all’interno del quale, guidati, riconoscere le emozioni in gioco attraverso l’utilizzo del linguaggio scritto o parlato.
  • Ascoltiamo le loro ragioni poiché attraverso di esse ci raccontano i loro bisogni.
  • Facilitiamo l’ascolto reciproco e guardiamo alla ricerca di punti d’accordo, di obiettivi comuni e di una sostenibile mediazione tra loro.

L’apprendimento nel litigio

L’idea di giustizia nell’infanzia è molto diversa da quella di noi adulti. Dobbiamo tenerlo a mente; dobbiamo avvicinarci a quella loro concezione ancor prima d’imporre la nostra.

Perché litigando esisto, sono vivo, desidero, imparo a conoscere ed esprimere le mie necessità, il mio pensiero. Bisticciando i bambini sono costretti a mescolare desiderio e realtà esterna, devono mediare con gli altri riconoscendo confini, limiti e contenimento alla loro fame di mondo. Imparano a considerare altri punti di vista e a utilizzare strategie risolutive capaci di far fronte a molti problemi differenti. Imparano a gratificarsi, a rinunciare, ad arrabbiarsi e a fare la pace; imparano a vincere e a perdere.

Capiscono che i legami sopravvivono alla crisi, alla disputa e che i momenti difficili hanno un prima, un durante e un dopo. Che le emozioni forti, cupe, esistono e sono legittime; ci scuotono ma poi passano. Insomma, litigare è davvero una preziosa esperienza d’apprendimento e come tale richiede la partecipazione di adulti in grado d’accompagnare, sostenere, contenere, regolare e osservare. Direi che questo è molto più di quello che siamo abituati a considerare del conflitto infantile e aggiungerei: siamo sicuri che riguardi davvero solo i più piccoli? Noi grandi possiamo davvero sentirci esonerati?


* Riccardo Pardini, Pedagogista, Mediatore Familiare, Didatta e Formatore.
Professionista e Didatta Accreditato S.I.Me.F. (Società Italiana di Mediatori Familiari).

Supervisore e Referente Servizio di Mediazione Familiare CTIF Milano.