di Alessandra Panceri*

Orgogliosə di te. Frase che sembra banale ma identifica: è compito fondamentale dei genitori rimandare aə propriə figliə quello che percepiscono, sentono di loro; è un processo fondamentale che sin dalla nascita dà vita all’altrə, lə identifica, lə gratifica, lə autodetermina: la funzione primaria e vitale del rispecchiamento.

Molte delle persone che incrocio nella mia attività professionale riconducono all’infanzia la loro consapevolezza di non rispettare la dicotomia di genere – che è fondamentalmente un costrutto sociale – e di appartenere al genere non binario.

Questo significa per un piccolo essere umano ancora immaturo dal punto di vista della costruzione del pensiero dei processi cognitivi e del consolidamento psicoemotivo, dover fare i conti tra il percepito e il dato reale, tra il desiderato e l’imposto, tra quello che la società richiede (e quello che spesso il genitore richiede o desidera) e quello che invece il bambino stesso sente, percepisce, desidera.

A capo di questo, non di rado, accade che il caregiver non sia in grado di vedere, di ascoltare, di osservare e quindi di accompagnare ə propriə figliə nel percorso di crescita, di scoperta e di conferma di sé; per lə stessə diventerà sicuramente un cammino di crescita molto più incerto e più complesso. Non di rado molti adulti, genitori e caregiver, di fronte a bambinə e ragazzinə non binary, non solo faticano a vedere e comprendere questa specificità ma spesso accade che una volta percepiti dei segnali e delle sensazioni che si discostano da quello che ancora oggi viene inteso come un comportamento e un atteggiamento socialmente appropriato, cioè lo stare dentro in un sistema binario, spesso si attivano per negare, sminuire o respingere determinate specificità e così facendo impongono e avviano un processo di patologizzazione e distruzione deə lorə bambinə.

Certamente non è semplice affrontare un aspetto così delicato nella vita deə propriə figliə: la mente si affolla di pregiudizi, di paure e di preoccupazioni che non riguardano solo il genitore stesso, ma che sono presenti nella nostra società e nella struttura sociale alla quale ci riferiamo, che dovrebbe fungere da rispecchiamento per i cittadini così come il genitore lo è per ə propriə figliə. Una società che ancora oggi nel 2022 non è pronta non solo ad accogliere ma neanche a vedere tuttə.

È necessario, anzi fondamentale, partire dall’individuo: ə bambinə.

Mettere al centro l’interesse dell’Infanzia non deve essere solo un movimento collettivo, preteso e normato, ma deve essere necessariamente accompagnato da un movimento individuale: è il singolo essere umano che innanzitutto e soprattutto deve ascoltare, comprendere, accogliere e sostenere l’unicità di ciascunə. Se noi stessi siamo pieni di pregiudizi e questi pregiudizi li proiettiamo suə nostrə figliə, se noi stessi non siamo capaci di accompagnare gli adulti del futuro a un’autodeterminazione e a una pienezza dell’espressione del proprio essere, risulta allora alquanto improbabile poter immaginare e pensare a un futuro dove la libertà dell’individuo non sia un diritto per cui lottare.

Sul tema, consiglio la preziosa lettura di “Mio figlio in rosa” di Camilla Vivian, una mamma che racconta con delicatezza e ironia la storia di suo figlio Filippo: “Ti senti maschio o femmina? “Io mi sento io”.


* Alessandra Panceri psicologa, psicoterapeuta, responsabile clinico di CTIF, da vent’anni si occupa della cura del trauma lavorando con bambini e famiglie e collaborando con la Magistratura e i Servizi Sociali.
Referente clinico delle comunità CTIF. Formatrice.


Sei genitore di unə bambinə o unə ragazzə e hai bisogno di supporto?

Gli specialisti del nostro centro clinico CTIF – Cura e Terapie per l’Infanzia e la Famiglia sono disponibili a un ascolto attivo volto all’opportunità di riconsegnare degli strumenti educativi e comunicativi utili con ə propriə figliə.
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