di Riccardo Pardini*

Affrontare il tema dell’amore nella prospettiva infantile significa, ancor prima d’iniziare, dotarsi anzitutto di curiosità, di uno sguardo certamene allargato e di una discreta affezione per la complessità. Perché il tema è articolato e a conferma di ciò, basterebbe ricordare quanto l’amore sia cosa difficile anche per noi grandi. Riflettere in merito e da una prospettiva che tenga insieme sia i vissuti infantili sia le rappresentazioni dei grandi, significa tenere intrecciati più piani e prospettive.

Da dove partiamo?

Proviamo a partire così: l’esperienza dell’amore è un fatto interno (un sentimento, un vissuto) ma anche esterno (qualcosa che osservo, di cui faccio esperienza guardando il mondo intorno). Ciò significa che, parlar d’amore, implichi il considerarlo soprattutto all’interno di una relazione, di uno o più legami giocati su piani e livelli interconnessi.

Ad esempio, parlare d’amore e d’infanzia significa considerare necessariamente quella quota di educazione affettiva, che in quanto tale si fonda e si realizza attraverso la relazione, tanto importante affinché i bambini sviluppino gradualmente, attraverso un’esperienza amorevole d’accudimento, il concetto di cura di sé e dei legami, beneficiando di una vera e propria alfabetizzazione costituita di apprendimenti fondati tanto sui vissuti quanto sull’osservazione della realtà circostante (coppia, famiglia, scuola, mass media ecc.).

A partire dall’infanzia, dunque, conosciamo l’amore tramite le pratiche agite sia da chi si prende cura di noi direttamente sia da quanti osserviamo intorno accedendo così ad uno degli apprendimenti primari più importanti (quando possibile). Costruiamo progressivamente la specifica idea di “cura e tutela di sé”, particolarmente attraverso l’assegnazione di un valore al proprio corpo (che è innanzitutto il valore mostrato al riguardo dagli altri); consolidiamo la mappa dei confini che costituiscono il senso del pudore e la protezione di sé; ci alleniamo alle emozioni accogliendole, esprimendole e riconoscendole nell’altro, impariamo come giocare il nostro ruolo all’interno di relazioni affettivamente rilevanti.

Insomma, dal punto di vista pedagogico, l’amore è un vero e proprio motore di crescita, di sviluppo e apprendimento. Sempre dipendente, ça va sans dire, dalla qualità, dalle dinamiche, dalle vicende relazionali, dalla biografia affettiva di ognuno.

La differenza tra adulti e bambini

Proseguendo, possiamo quindi assumere due differenti prospettive riguardo alla definizione del concetto d’amore: quella degli adulti e quella dei bambini. Se chiedessimo agli uni e agli altri potremmo ascoltare risposte differenti. In tale direzione si sono moltiplicate negli ultimi anni le ricerche, le inchieste, i reportage.

Tra i grandi, accade comunemente d’imbattersi in persone naturalmente più “emotive” portate a descrivere un sentimento, un’emozione dalle coloriture romantiche e sognanti o in altre più “razionali” che richiamano questioni legate alla chimica delle reazioni bio-fisiologiche. Non è necessario specificare che con molta probabilità, in entrambi i casi, gli intervistati staranno sostenendo le proprie formulazioni attraverso il ricordo delle esperienze personali al riguardo.

Ma cosa scopriremmo se lo chiedessimo ai bambini?
Potremmo scoprire, ad esempio, che le loro riflessioni in tal senso sono molto legate alla dimensione del “fare”, alle questioni pratiche, ai gesti e alle azioni tipiche dell’amore.

A ciò che sentiamo quando siamo innamorati ma soprattutto a ciò che facciamo, ad esempio “quando la mamma mi dà un bacio davanti alla scuola”…“quando mia sorella mi lascia l’ultimo cioccolatino della scatola”…“quando il papà mi soffia sulla bua e mi mette il cerotto colorato”…“ quando sono emozionato e i miei genitori mi salutano e mi sorridono dalle tribune del campo da basket”. Insomma, i bambini ci dicono che l’amore “lo sentiamo nella pancia” ma lo vediamo intorno a noi attraverso i gesti di chi amiamo e dal quale siamo amati.

L’amore nell’infanzia e i bisogni a esso correlati

Da bambini conosciamo l’amore attraverso le azioni tipiche della cura da parte di quanti si prendono cura di noi mostrandoci attenzione, interesse. Lo percepiamo sentendo su di noi quello sguardo interessato, sollecitante e insieme regolatore, che serve per crescere ricevendo risposte ai propri bisogni fondamentali. Così proviamo il senso d’esistere, grazie ad un amore responsabile, un amore che risponde, che fa da sponda ai bisogni e alle necessità di qualcuno che non potrebbe r-esistere al di fuori della relazione con l’Altro. Insomma, esisto perché sono amato e amo per essere amato a mia volta. L’esperienza dell’amore, nella prima infanzia, è correlata soprattutto a questo.

In che senso? Da chi?
Beh, da un genitore (che non è necessariamente biologico o di un sesso preciso), un caregiver, un adulto, che agisce un fare rispondente in via sufficientemente buona, per dirla con le parole del pediatra e psicanalista londinese D. Winnicott, alle necessità infantili in un continuo equilibrio tra sviluppo e contenimento.

Al riguardo, è utile ricordare il lavoro di due illustri autori statunitensi T. B. Brazelton e S. I. Greenspan che, in un testo scritto assieme nel 2000, elencano i bisogni irrinunciabili dei bambini offrendoci preziosi spunti di riflessione che aiutano a tratteggiare l’esperienza d’amore nell’infanzia:

  • Il costante bisogno di sperimentare sicure relazioni d’accudimento attraverso le quali vivere l’azione amorevole dei gesti di chi si prende cura di noi, consentendoci di sviluppare fiducia nelle relazioni, assegnare un valore a noi stessi sperimentando interazioni significative.
  • Il bisogno di protezione fisica e di sicurezza che ci consentono di crescere sviluppando autonomia sempre al riparo dai rischi peggiori che costituiscono un serio pericolo per la salute e il benessere infantile.
  • Il bisogno importante di esperienze modellate sulle differenze individuali, appropriate al grado di sviluppo soggettivo che consente ai bambini di sentirsi legittimati per ciò che sono, sostenuti attraverso esperienze adatte alle caratteristiche specifiche di ognuno, organizzate e gestite con cura e cautela rispetto, ad esempio, alle attese dell’adulto che, troppo di frequente, rischiano di accelerare la crescita.
  • Il bisogno di contenimento attraverso limiti e regole con le quali gli adulti si assumono il compito di guidare e contenere la crescita, grazie alla negoziazione di un impianto co-costruito assieme ai bambini; orientando l’azione attraverso norme, limiti e confini chiari e proporzionati.
  • Il bisogno di vivere in una dimensione collettiva stabile e di godere di continuità culturale e comunità di supporto che favoriscano il senso d’appartenenza e lo sviluppo di coesione e d’identità.
  • Il bisogno – quello forse più attuale e urgente – che gli adulti guardino al mondo e al futuro come un luogo e un tempo da preservare, da tutelare, attraverso azioni concrete e responsabili che implichino l’impegno dei genitori, dei cittadini, della politica, dei governi e dei grandi della terra nel rispetto dell’ambiente e del tempo a venire intesi come luoghi in cui l’amore per i bambini si realizza grazie al pensiero di chi riesce ad “immaginarseli da grandi”.

Per parlare d’amore, dunque, dell’amore nella prospettiva infantile, non possiamo prescindere dalla dimensione dell’esperienza di cura, dalla relazione d’accudimento attraverso la quale rispondiamo ai loro bisogni, plachiamo le loro paure, ci occupiamo delle loro necessità.

E questo significa custodire non solo i bambini ma anche le relazioni e il mondo nel quale vivranno, educandoli e trasmettendo loro quanto necessario affinché possano fare lo stesso.


* Riccardo Pardini, Pedagogista, Mediatore Familiare, Didatta e Formatore.
Professionista e Didatta Accreditato S.I.Me.F. (Società Italiana di Mediatori Familiari).

Supervisore e Referente Servizio di Mediazione Familiare CTIF Milano.