Di Yuri Benaglio
Operatore presso il Centro Sammartini

Il Centro Sammartini non si occupa solamente di accompagnamenti strutturati e complessi, che in alcuni casi si protraggono anche per anni, ma anche e soprattutto di garantire accoglienze temporanee finalizzate a un obiettivo e a un progetto di vita.

Tra queste, oggi raccontiamo la storia di Im.
Ragazzo pakistano classe ’90, sordo e analfabeta, si presenta presso il nostro servizio un giorno di inizio settembre dello scorso anno. Capiamo subito che necessita di tutto: documenti, necessità primarie, posto letto. Sta dormendo da pochi giorni in Stazione Centrale. Decidiamo di farlo tornare qualche ora dopo per un colloquio con il servizio di interpretariato della lingua dei segni del Comune di Milano gestito dalla nostra cooperativa.
Tutto, però, si rivela più difficile del previsto. La lingua dei segni non è universale ed emerge la necessità di una nuova mediazione con interprete LIS pakistano.

Nel corso del colloquio emerge che il ragazzo è in Italia da poche settimane dopo aver lasciato il Pakistan nel 2018. Durante questi quattro anni, dopo essere stato in Turchia, via mare è arrivato in Grecia e da lì si è spostato in Albania, dove è rimasto solo cinque giorni. Poi in Serbia, due mesi, Paese di cui ricorda solo la pioggia incessante e il freddo. È rimasto per mesi anche in Bosnia e quando ha tentato di entrare in Croazia, racconta di essere stato arrestato per due giorni, picchiato, derubato e rispedito in Bosnia. Poi in Slovenia, dove avrebbe ricevuto molte minacce da parte delle forze dell’ordine. Infine, in Italia, a Trieste. A Milano pare sia arrivato senza contatti. Avrebbe lasciato il suo Paese, dove sono rimasti i genitori, perché ha sentito che alcuni sordi pakistani hanno ricevuto la protezione internazionale in Italia. Il suo obiettivo è restare qui. È il primogenito di quattro fratelli: anche il terzo e il quarto sono sordi.

Come spesso capita, rifletto, le storie delle migrazioni fondono ambizioni, voci di corridoio, coraggio, un pizzico di follia e disperazione.

Gli fissiamo anche un colloquio presso l’Ufficio Immigrazione di via Scaldasole per portare avanti la pratica di protezione internazionale da lui prospettata. Nel frattempo lo accogliamo per tre notti presso una nostra struttura emergenziale, solo notturna, per garantire un sollievo temporaneo. E decidiamo, in occasione della nostra équipe settimanale, di inserirlo in una struttura ordinaria (quelle aperte H24 e tutto l’anno) in attesa del collocamento in un centro di accoglienza per migranti.

Lo inviamo a fare un tampone ma, per ricollegarci al tema della difficoltà comunicativa, torna a mani vuote: non è riuscito a farsi capire dagli operatori presenti. Attiviamo dunque un secondo servizio predisposto dalla nostra cooperativa: quello di accompagnamento. Un nostro operatore lo accompagna per le varie operazioni di screening sanitario: riceve il vaccino anti-covid, effettua l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale e sceglie il medico curante.

Pochi giorni dopo torna per raccontare a un nostro operatore, o così almeno gli pare di aver capito dalla gestualità del ragazzo, che avrebbe avuto uno scontro fisico con un’altra persona all’interno della struttura presso cui lo avevamo inviato temporaneamente.
Osservo, dalla mia postazione in ufficio, che lui e gli altri colleghi che lo hanno visto negli ultimi giorni si impegnano sinceramente e con dedizione a capire quanto il ragazzo prova a comunicare. E, penso, con un po’ di orgoglio, che il nostro è un approccio di grande attenzione nei confronti delle persone che intercettiamo.
Il ragazzo, dicevamo, viene poi inserito in una delle nostre strutture ordinarie e gli viene assegnata un’assistente sociale di riferimento: Sandrine. Le chiedo qual è la prima cosa che lui ha provato a dirle. “A gesti mi ha fatto capire di trovarsi bene in struttura ma di non gradire il cibo”. L’aneddoto mi fa sorridere.

Sandrine segue con dovizia tutti i passaggi finalizzati all’inserimento del ragazzo nel centro di accoglienza sopracitato. L’inserimento va a buon fine pochi giorni fa. Se tutto andrà bene, Im (che ha nel frattempo ricevuto la protezione internazionale) non avrà mai più bisogno di appoggiarsi – seppur temporaneamente – a un servizio della grave marginalità adulta come il nostro.
Im ci ha ringraziato, e ha ringraziato in particolare Sandrine e i colleghi del servizio di interpretariato LIS, per il lavoro fatto con e per lui.

Il lavoro quotidiano del Centro Sammartini, come dicevamo in apertura, è trasversale e si destreggia facendo da ponte tra i vari servizi della città di Milano con l’obiettivo di garantire a ciascuno tutele e opportunità.