Eccoci di nuovo a raccontare una storia a lieto fine dal Centro Aiuto Stazione Centrale (CASC).
Una storia di riconciliazione familiare resa possibile grazie, ancora una volta, al lavoro dei nostri assistenti sociali e a un proficuo lavoro di rete.

Tutto inizia alla fine del 2018, quando una dottoressa del reparto di Psichiatria dell’ospedale Niguarda ci contatta per segnalare la situazione di A., giovane ragazzo camerunese ricoverato da loro per stato dissociativo. Arrivato in Italia come studente, A. si laurea al Politecnico di Torino in Architettura ma una volta giunto a Milano per la magistrale, dopo aver perso la borsa di studio, finisce in strada. Gli viene dunque riservato un posto letto in uno dei dormitori comunali a nostra disposizione ma dopo tre mesi, alla fine del Piano Freddo invernale, torna a dormire fuori.

A questo punto il CASC e gli enti vicini iniziano un lungo lavoro di supporto a favore del ragazzo: viene orientato in un’altra struttura non direttamente dipendente da noi, gli viene fissato un appuntamento con un’assistente sociale, ci si attiva per recuperare tutta la documentazione universitaria dal Politecnico di Milano e viene infine inserito in un nostro dormitorio (di quelli aperti H24 e tutto l’anno). Ma A., ormai in Italia senza documenti (il permesso di soggiorno per studio è scaduto, gli resta la fotocopia di una vecchia carta d’identità), sembra respingere il nostro aiuto.

Si intravede chiaramente un bisogno fisico e psicologico, manifestato però sommessamente e a monosillabi.
A. sembra rendersi conto della sua situazione, ma manca quel qualcosa in più per reagire. La condizione di senza dimora, di grave emarginazione, lo stato di depressione, l’insuccesso del percorso migratorio e uno stato di salute tutto da verificare delineano un quadro sicuramente non roseo.

I mesi passano e una nostra assistente sociale, Beatrice, viene inviata in uno dei punti della città in cui è più frequente intercettare persone in stato di necessità: le docce pubbliche di Baggio. È lì che conosce A. e raccoglie ulteriori informazioni. Una volta tornata al CASC, ne parla subito con un’altra nostra assistente sociale, Sandrine, connazionale del ragazzo. L’obiettivo di Sandrine, a cui viene passato il caso, è uno: trovare i familiari del ragazzo, che risultano sul territorio ma di cui A. non ricorda nulla. Chiama il consolato del Camerun, dove lavorava prima di arrivare da noi al Casc, e viene rintracciata la sorella che vive e lavora ad Aosta come medico. Lo cercava dal 2017, con tanto di denuncia di scomparsa. Per lei era ormai morto.

Il giorno dopo la sorella e il fratello minore (studente a Genova) del ragazzo sono a Milano. Per privacy non possiamo comunicare, anche se il ragazzo sta male e palesa difficoltà cognitive e psicologiche, dove si trova A. (che rifiuta ogni contatto con la famiglia). Coinvolgiamo pertanto il commissariato di Baggio, che conduce il ragazzo in sede e consente così l’agognata riconciliazione.
Oggi A. vive con la sorella ad Aosta. Lei ci ha scritto una mail bellissima, ringraziandoci per il lavoro svolto in un italiano quasi perfetto: “In nome di tutta la famiglia di A., io tenevo personalmente a manifestarvi la mia gratitudine, a ringraziarvi dal fondo del cuore, voi tutti che ci avete aiutato a ritrovarci e riportarlo a casa. Grazie del cuore a tutti quelli che gli sono stati di aiuto durante il periodo difficilissimo che ha dovuto attraversare da solo anche se ci stavamo cercando a vicenda usando tutti i mezzi a disposizione senza successo. Oggi è a casa sua con noi e faremmo tutto il possibile per aiutarlo ad andare ancora meglio e non perderlo mai più“.

Ma questo lavoro è di tutti: di Sandrine, di Beatrice, delle docce di Baggio, del commissariato, del consolato. E di A., soprattutto. Il papà, molto malato in Africa, è morto in completa serenità pochi giorni dopo aver saputo del ritrovamento del figlio dato per disperso.