Di Yuri Benaglio
Operatore presso il Centro Sammartini

Chiamano in tanti, al centralino del Centro Sammartini: assistenti sociali ed educatori di altri servizi, ospedali, semplici cittadini, volontari, associazioni, persone già in carico al centro. A tutti loro si cerca di rispondere nel modo più esaustivo possibile, fornendo un orientamento al servizio stesso ed eventualmente smistando le telefonate tra i nostri operatori. A volte, però, capita di ricevere telefonate da giovani ragazzi e ragazze che, pur attraversando un momento di temporanea difficoltà, non sono persone senza dimora e non è del nostro servizio che hanno realmente bisogno.

Hanno però bisogno di parlare, di raccontarsi, di sfogarsi. Un bisogno che, nella quotidianità in cui vivono, rimane strozzato, appeso nell’aria. Anche a loro dunque il Centro Sammartini offre ascolto e attenzione, uno spazio senza giudizio in cui raccontarsi e un primo orientamento per individuare il reale bisogno e la direzione per far fronte alle difficoltà incontrate.

Premettendo che andremo a utilizzare solo nomi di fantasia, oggi racconto proprio di tre ragazzi con cui mi è capitato di parlare al centralino negli ultimi mesi. Tre ragazzi accomunati da un filo comune e da una potenziale via d’uscita ancora da individuare.

Matteo, 23 anni. Una voce bellissima, da doppiatore. Dice di essere stato sbattuto fuori di casa dal padre. Non è al telefono né in pochi minuti, ovviamente, che si può approfondire la natura del rapporto con i genitori e mi sembra indelicato farlo. Si può però fare il punto su cosa sta facendo adesso e su cosa ha intenzione di fare. L’orizzonte è chiaro: tra due settimane andrà in Repubblica Ceca, a Brno, per la magistrale dell’università. E sarà il padre, lo stesso che lo avrebbe messo alla porta, a pagargli gli studi. Nelle due settimane che mancano alla partenza Matteo cerca un posto letto perché “è rimasto senza soldi”. È sfiduciato. Ne parliamo assieme. Gli spiego che le nostre strutture emergenziali, che raccolgono persone in stato di fragilità sociale, sanitaria, psicologica e con dipendenze di varia natura, non sono indicate per dei ragazzi giovani seppur temporaneamente in difficoltà. Gli chiedo di avere fiducia negli amici che sicuramente avrà e che può collaborare in casa in cambio della disponibilità di posto letto. Credo avesse bisogno di sentire questo. Conferma di avere dei conoscenti e amici da poter contattare in questa breve finestra temporale. Mi ringrazia, mi saluta, è emozionato per l’imminente partenza. Non è mai stato in Repubblica Ceca ma è sicuro che gli piacerà. “In bocca al lupo, Matteo”. Riattacco.

Kamila, 21 anni. Studentessa di Scienze Agrarie dell’Università Statale. Residente a Sesto San Giovanni. Riferisce attacchi di panico e problemi familiari. Kamila si racconta in modo un po’ confuso, senza entrare nei dettagli. È palesemente incastrata in una vita da ragazza come tante che purtroppo non le calza a pennello. Parliamo dieci minuti. Di questi, gli ultimi due o tre li passa a piangere. Penso tra me e me che sia un bene lasciarsi andare e sfogarsi. È agitata: tra due giorni ha un esame. Le chiedo se pensa di essere nelle condizioni idonee a dare un esame universitario. Ci pensa un po’, poi ammette di no. Le chiedo anche se si è rivolta a un servizio psicologico professionale, perché è molto importante e prezioso tutelare la nostra salute mentale. Lei ci pensa su un attimo, percepisco che abbozza un sorriso e poi dice: “Sono d’accordo”. Le spiego anche l’importanza dei servizi sociali territoriali, di cui ogni Comune dispone, in cui lavorano assistenti sociali che possono accompagnare le persone in un percorso strutturato di progressiva indipendenza. Non ne conosceva l’esistenza ma mi garantisce che farà un pensiero approfondito su come sta e su come vuole organizzarsi per i tempi a venire. Non chiede nemmeno un posto letto, per fortuna non ne ha bisogno. Ma confessa: “Sono contenta di avere avuto il coraggio di chiamare qualcuno”. E riattacca un po’ più tranquilla.

L’ultimo è Andrea, 22 anni. Residente a Cinisello Balsamo. Mi chiama e mi dice che ha dovuto lasciare l’appartamento dei genitori per “incompatibilità totale” e motivi non meglio precisati. Non approfondisco ulteriormente questo aspetto, come dicevo prima mi sembra indelicato farlo al telefono, ma cerco di ricostruire dove sta dormendo. Riferisce di essere ospite da amici da qualche settimana: prima a Milano, poi a Lodi, poi a Parma da dove mi chiama. Lo lascio parlare, restiamo al telefono quindici minuti in totale. Mi sembra di avere a che fare con un amico in un momento di difficoltà. È confuso, ma non troppo. Lo lascio parlare, dicevo, perché percepisco la sua esigenza di avere uno spazio protetto in cui raccontarsi. Gli chiedo di ragionare insieme su cosa ha intenzione di fare nei giorni a venire. Parlando insieme, Andrea capisce che continuare a spostarsi da una città all’altra per essere ospitato da amici può essere un’utile soluzione tampone ma non un piano definitivo. Anche a lui spiego l’importanza dei servizi sociali territoriali, a cui può rivolgersi in ogni momento, per valutare insieme come procedere. E aggiungo: “So che è difficile, soprattutto quando sei sfiduciato e attorno a te non tutto funziona come dovresti, ma devi pensare con lucidità e procedere con determinazione”. Sembra anche lui soddisfatto dal feedback ricevuto. Mi ringrazia tantissimo e riattacca.

Il Centro Sammartini è aperto senza requisiti di accesso (e senza necessità di fissare un appuntamento) alla cittadinanza e un primo colloquio viene garantito a tutti coloro che vi fanno accesso. Ma anche il centralino telefonico è molto importante: è un primo filtro prezioso per le persone che chiamano, che a volte hanno solo bisogno di parlare e di confidarsi.

Nessuno dei tre ragazzi è poi venuto in ufficio. Probabilmente, come avevamo prospettato insieme, hanno individuato, riconosciuto e si sono poi affidati alle reti amicali e/o familiari a disposizione. Sapevano e sanno anche, però, che qui la porta rimane aperta.