Di Yuri Benaglio
Operatore presso il Centro Sammartini

Più di dieci anni tra strada e sistemazioni di fortuna l’hanno resa la donna un po’ spigolosa che abbiamo conosciuto. Ma quando chiedo alla nostra assistente sociale Elena di raccontarmi una bella storia, lei pensa subito a G.
G., cittadina romena di 67 anni, entra per la prima volta nelle strutture del Piano Freddo in convenzione con il Comune a cavallo fra il 2009 e il 2010. Sparisce dai radar fino al 2014-15, poi inizia a presentarsi con sempre maggior frequenza presso il nostro ufficio.

Gli anni passano e le sue stagioni, ciclicamente, seguono lo stesso corso: ospitata (per pochi giorni, poi capiremo perché) durante i Piani Freddo, in strada il resto dell’anno. Gli operatori delle varie strutture in cui viene ospitata la inquadrano sempre allo stesso modo: polemica, arrogante, incapace di rispettare qualsivoglia regola e disturbante. Ma è lei stessa a essere difficilmente agganciabile e ad allontanarsi spesso dalle strutture per tornare a dormire in strada, nella sua San Babila.

Nel marzo 2020, nei giorni surreali dell’inizio dell’epidemia sanitaria, viene accolta in una struttura ordinaria, di quelle aperte tutto il giorno e tutto l’anno. Insomma, pur in un contesto comunitario e non facile, una parvenza di normalità. Dopo un mese e mezzo viene espulsa dalla struttura: litigava con le altre ospiti. Nei mesi successivi torna a vivere nel suo autoproclamato accampamento di San Babila.

È lì che viene intercettata dal gruppo Drago Verde, progetto di solidarietà per senza dimora nato nell’ambito della brigata Lena-Modotti. Per settimane quelli della brigata, i giovani del centro sociale Lambretta, sono usciti per le strade di Centrale, Porta Venezia e Garibaldi per consegnare pacchi alimentari e kit igienici a chi ne aveva bisogno. Così hanno scritto per presentare il progetto: “Restare a casa durante la quarantena è una fortuna, non alla portata di tutti. Migliaia di persone, che già vivevano per strada, hanno visto la loro esistenza precipitare in un vortice di precarietà senza precedenti. La diminuzione di quei pochi servizi preesistenti ha lasciato queste persone sempre più sole”. Sono stati loro a segnalarci il caso della signora. Al netto dei vari (e falliti) tentativi di aggancio, il Centro Sammartini ha aperto uno spazio di confronto per cercare la migliore soluzione possibile.

Il primo vero e proprio colloquio di Elena con la signora è del giugno di quest’anno. Colloquio in cui Elena ha cercato di capire perché per quasi dieci anni la signora sia rimasta difficilmente agganciabile. E a colpirla, della signora, è stata la franchezza. G. ha ammesso candidamente di non poter più restare in strada. Dopo dieci anni ha riconosciuto a se stessa di non farcela. Ha detto addio alla tenda piazzata in San Babila, ricovero di fortuna che per tanti anni è stato il punto di ritorno.

Elena ha approfondito la sua situazione documentale (aveva carta d’identità e tessera sanitaria, ma ha perso tutto), sanitaria (antidolorifici e medicinali per un problema di pressione alta, il tutto grazie all’ambulatorio medico gratuito di Opera San Francesco) e la sua storia. La signora non racconta tutto di sé, ma emergono via via dei dettagli utili alla ricostruzione: un parco divertimenti di cui era proprietaria in Romania, la stigmatizzazione di cui è stata vittima (per molti è sempre stata la zingara), i figli deceduti e quelli rimasti in vita, alcuni in Romania e altri in Italia. È qui che G. si concede un momento di commozione.

Stanti tutte queste fragilità, alla signora viene proposta un’accoglienza in una microstruttura. Le vengono spiegate le caratteristiche della stessa: la firma di un patto di accoglienza e di un progetto educativo da seguire, il tempo di permanenza massimo, le regole, i divieti, gli obiettivi. Tra gli obiettivi la regolarizzazione sul territorio nazionale, la residenza su Milano, l’iscrizione al Sistema Sanitario Nazionale (con Medico di Medicina Generale e la Tessera Sanitaria), una valutazione sull’avvio di richiesta per invalidità civile e la richiesta di un alloggio popolare. Elena condivide con la signora l’importanza di convivere serenamente all’interno della struttura con altre persone, lavorando sulla socializzazione (tallone d’Achille della nostra G.).

Solitaria, scortese, a tratti persecutoria. Non c’è un operatore che negli anni non l’abbia definita così. Chiedo a Elena un punto di vista. “La signora, a me, è apparsa dolcissima. Un po’ come una nonnina. Ma la sua rigidità, frutto dei tanti anni passati in strada, si è rivelata spesso un ostacolo per la sua progettualità”.

La signora è dentro la sopracitata struttura da un paio di settimane. Sono in sei, piuttosto in là con l’età. Il primo patto di accoglienza scadrà ad aprile 2022. Se avrà mantenuto gli obiettivi, si penserà a una proroga. Come si trova in struttura? Bene. Dice che non le sembra vero avere un letto a disposizione, una stanza, acqua corrente sopra la testa.

Ed è così che l’irriducibile senza dimora ha ringraziato Elena per il suo impegno. Si vedranno una volta al mese per fare il punto della situazione. Come si trova in struttura? Vi avevo detto bene. Ho dimenticato un particolare: battibecca un giorno sì e l’altro pure con un’altra signora ospite, ma questa è un’altra storia.