Di Yuri Benaglio
Operatore presso il Centro Sammartini

Uno dei tratti distintivi del Centro Sammartini è il libero accesso. Siamo su strada, in fondo alla via Sammartini che si incrocia con la Martesana. E chiunque, compatibilmente con gli orari di apertura, può entrare, essere ascoltato e nel caso indirizzato.

Per M., 36 anni, della Costa d’Avorio, ci è pervenuta invece una segnalazione da un altro servizio, l’Etnopsichiatria del Niguarda, per il reperimento di una risorsa alloggiativa data la condizione di grave fragilità psichica. Dopo la chiusura del Cas (Centro di Accoglienza Straordinaria per migranti) presso cui era ospitato, il ragazzo stava iniziando a svolgere i primi colloqui e la formazione preliminare per un inserimento lavorativo da giardiniere e necessitava dunque di una soluzione stabile per affrontare le prime tappe del percorso al meglio. Per lui si è subito pensato a uno dei posti di housing (strutture comunitarie in appartamento con poche persone) dedicati a persone seguite dall’Etnopsichiatria.
M. era seguito dall’Etnopsichiatria a causa di un disturbo da stress post traumatico, conseguenza del viaggio che dalla Costa d’Avorio lo aveva portato in Libia e da lì in Italia un paio di anni fa. Un viaggio su cui il ragazzo si è sempre aperto molto poco.

L’ente gestore dell’appartamento, Fondazione Somaschi, avrebbe messo a disposizione un supporto educativo. Il Centro Sammartini un assistente sociale. Un’équipe congiunta tra Centro Sammartini, Fondazione Somaschi ed Etnopsichiatria avrebbe definito la progettualità dell’ospite e seguito passo passo il caso. Il posto individuato, un appartamento a Rescaldina in un condominio al secondo piano con cucina, camera singola, bagno, camera doppia e corridoio, risultava inizialmente poco adeguato per la distanza da Milano, dove lui seguiva tutta la parte documentale/burocratica e quella medica e dove era riuscito – faticosamente – a costruire una rete di relazioni.

Il primo colloquio di M. con Barbara, nostra assistente sociale, e con una psicoterapeuta dell’Etnopsichiatria, risale a novembre 2019. Nel corso del colloquio il ragazzo ha parlato della figlia che non vedeva da tre anni e ha espresso il desiderio di conoscerla, di un’altra figlia deceduta in un incidente e della sua condizione di sieropositivo. Gli è stato prospettato il senso del percorso in appartamento: consolidamento lavorativo, presa di coscienza in merito alla gestione dei soldi, valutazione di un lavoro con un volontario per imparare a leggere e scrivere. Pur esprimendo qualche timore, la proposta lo ha reso da subito entusiasta. A gennaio 2020 è entrato così in appartamento, mentre tutta l’équipe di riferimento ha iniziato a muoversi sui vari fronti: corso per imparare l’italiano, rinnovo del permesso di soggiorno e del passaporto, lavoro, piano di accumulo economico.

Poi è arrivato il covid, ma Barbara ha mantenuto i colloqui via Skype con Fondazione Somaschi, l’Etnopsichiatria e il ragazzo. M. ha raccontato di aver sofferto molto per la mancanza di lavoro in quei mesi e per non poter tenere le giornate impegnate. Giornate così lunghe da portarlo a “pensare sempre. Ma al contempo il percorso procedeva bene e i progressi sono apparsi da subito evidenti: ci ha mostrato con orgoglio il quaderno di italiano del corso che stava frequentando e ha iniziato a lavorare di mattina e sera nelle consegne e di pomeriggio in un centro diurno.

I mesi passano, M. continua a manifestare preoccupazione in merito a un’eventuale conclusione del progetto ma al contempo si muove per giungere a una sistemazione positiva in autonomia. Nel luglio di quest’anno, in occasione dell’ultimo incontro di rete, chiede di essere sostenuto nella ricerca di un alloggio in autonomia perché “stanco di stare all’interno di un progetto e di avere tutto gratuitamente dal Comune”. Barbara e gli altri enti cercano di farlo ragionare sulla difficoltà effettiva di questo passo in un momento in cui comunque non ha né un lavoro certo né una stabilità economica necessaria per andare in affitto. Si impunta anche sull’idea dell’apertura di un conto, sostenendo di non voler affidarsi alle banche e di voler conservare i risparmi in casa.

Qualche giorno fa, però, M. consegna le chiavi di casa all’educatrice di Fondazione Somaschi: ha trovato una soluzione in autonomia a Rescaldina e un nuovo lavoro. “Quando ci eravamo visti a luglio mi aveva anticipato che si sarebbe mosso in autonomia per vedere dei potenziali affitti. Ci è riuscito nel giro di poco” – confida Barbara. È quindi tempo di bilanci finali: “Il percorso mi è sembrato lungo e ricco. L’opportunità dell’appartamento ha consentito all’ospite di avere un tempo di tranquillità per ripensarsi e risperimentarsi dal punto di vista abitativo, relazionale e lavorativo. È riuscito a muoversi verso l’autonomia. Il territorio di Rescaldina-Legnano, un tempo a lui ignoto e forse anche un po’ scomodo, ha assunto con il tempo e grazie al suo impegno, un volto nuovo e sempre più familiare tanto da portarlo a scegliere di continuare ad abitarci. La rete attorno a lui è stata multidisciplinare, intensa e partecipe“.

Un bel risultato, non c’è che dire.