Di Yuri Benaglio
Operatore presso il Centro Sammartini

Problematica, ex tossicodipendente, dalla vita sofferta. Viene definita così, dal nostro assistente sociale Matteo con la consueta e professionale lucidità, la sua ex utente (oggi 64enne) B. Nata in provincia di Salerno in una famiglia numerosa (con cui oggi non ha più rapporti, tanto da non sapere chi è ancora in vita), ha trascorso l’adolescenza facendo da baby-sitter ai nipoti.

Raggiunta la maggiore età è partita per Milano, lavorando per quasi 35 anni c/o la Casa di Cura Pio Albergo Trivulzio come infermiera. Nel 2010 è stata licenziata per le scarse condizioni igienico-sanitarie: infatti, sin dal 2005 (data del suo primo accesso presso il Centro Sammartini) la signora aveva abbandonato la casa familiare per contrasti con i figli (ne ha cinque) e aveva iniziato a vivere in strada. Tre anni prima, nel 2002, il marito era stato allontanato dal tetto coniugale su sentenza del Giudice Tutelare per violenza domestica.

Dopo essere stata licenziata e pur nelle precarie condizioni abitative di cui sopra, la signora fonda un’associazione di volontariato con la quale arriva a gestire una delle nostre strutture del Piano Freddo. Insomma, al Centro Sammartini la conosciamo prima come utente e poi come operatrice-utente.  Di quella associazione, oggi, non c’è più traccia: il progetto è progressivamente naufragato.

Rispetto alla situazione sanitaria, la signora è invalida al 100% e ha avuto il riconoscimento dell’handicap da parte della Commissione Medica dell’INPS con la diagnosi di ictus ischemico. In una relazione scritta da Matteo nel febbraio di quest’anno leggo una frase che mi fa riflettere: “La signora è una persona estremamente fragile, vive in strada o in sistemazioni di fortuna dal 2005 e ne porta i segni sulla sua pelle e sulla sua salute”.

Nel 2020 entra in una delle nostre strutture d’accoglienza aperte tutto l’anno e H24 che abbiamo a disposizione. A settembre, durante il ricovero al Sacco per ischemia cerebrale, dà indicazioni esplicite ai medici di non dare informazioni sul suo stato di salute. B. si dimostra sfuggente. Chiedo il perché a Matteo. Mi spiega che la signora rappresenta un profilo piuttosto tipico di senza dimora. Quando lui, che la segue dal giugno 2018, le affida dei compiti per il successivo colloquio (esempio: domanda reddito di cittadinanza, messa a disposizione per il lavoro, domanda di invalidità), lei puntualmente sparisce per un po’. Quando le va, senza preavviso, chiama e si lamenta che non viene aiutata.

Ma B. è molto di più e nel tempo ha effettivamente portato a termine tutti i vari step. Fino all’ultimo, il più bello: nel maggio di quest’anno è entrata in una casa popolare, ritrovando l’autonomia perduta da troppi anni.  

Da quel momento Matteo l’ha chiamata una sola volta. E ci si potrebbe aspettare un lieto fine (un ringraziamento, un sorriso), ma così non è stato. In fondo va bene così. “Io sono comunque contento per lei” chiosa il nostro.