di Valentina Osti*
Dislessia, disgrafia disortografia, discalculia: questi sono i nomi dei quattro disturbi specifici dell’apprendimento, conosciuti dai più nel loro acronimo DSA. I DSA non sono temibili, sono semplicemente un modo alternativo di apprendere. Come mai, allora, scuola e famiglia, le due agenzie educative fondamentali per la crescita e lo sviluppo di un bambino o di un adolescente, alle volte fanno ancora fatica a supportare e fornire i giusti strumenti ai propri alunni e ai propri figli?
Iniziamo definendo che cosa sono i DSA: la legge 170/2010, accogliendo quanto emerge dalla Consensus Conference, definisce i “DSA come disturbi che coinvolgono uno specifico dominio di abilità, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. Essi infatti interessano le competenze strumentali degli apprendimenti scolastici” (Zanobini, Usai 2019).
Che cosa significa esattamente? Significa che coloro che hanno un Disturbo Specifico dell’Apprendimento non manifestano delle disfunzioni a livello di intelligenza, hanno quindi un quoziente intellettivo nella norma, ma mostrano delle difficoltà in precisi ambiti e nello svolgimento di specifici compiti spesso legati alle richieste scolastiche, in relazione a una memoria di lavoro (quella parte della memoria a breve termine che trattiene le informazioni e le manipola) e/o una velocità di elaborazione (velocità con cui si svolge un compito mentale) deficitari.
I disturbi specifici si manifestano quando il bambino entra nel mondo scolastico, durante la scuola primaria. Questo accade perché le richieste cognitive, diventando sempre più elevate nel corso del tempo e della scolarizzazione, mettono in luce le difficoltà del bambino. Se non vengono colti in tempo i primi segnali di disagio, il rischio è che il bambino sperimenti un’alta frustrazione ed elevato stress (Panicker, Chelliah 2016), seguiti da bassa autostima, ansia o problemi comportamentali (Zuppardo, Serrano, Pirrone, Rodriguez-Fuentes 2021) perché non riesce ad eseguire quanto gli è stato assegnato od ottiene risultati che non rispecchiano il tempo di studio dedicato.
I bambini o adolescenti con DSA hanno bisogno, quindi, di risorse diverse e mirate per affrontare il percorso scolastico. Molto utili sono sicuramente gli strumenti compensativi (ad esempio, l’uso del computer per prendere appunti, della calcolatrice per i calcoli, delle mascherine di lettura), talvolta però lo strumento in sé non è sufficiente, perché se è vero che compensa – per l’appunto – le difficoltà di apprendimento, non aiuta però, da solo, a rifocalizzare la motivazione e l’autoefficacia verso lo studio.
Quello che cerco di fare nello spazio compiti individuale dedicato ai DSA (rivolto anche a tutti coloro che incontrano una difficoltà o inciampano in un ostacolo durante la scuola), è proprio questo: oltre a fornire strumenti e strategie, il mio intervento si concentra sulla relazione con il bambino e/o il ragazzo, concordando degli obiettivi comuni e trasformando l’incontro in uno spazio “delle chiacchiere e poi, dei compiti”, con l’obiettivo di sostenerlo nelle sue difficoltà emotive e di autostima, di demolire la convinzione di “non essere capace” e che nulla potrà cambiare, e creando una solida alleanza con la famiglia.
Carol Dweck, professoressa all’università di Stanford, ha teorizzato una distinzione secondo me fondamentale per tutte le persone in crescita: la differenza tra growth e fixed mindset. Chi possiede una fixed mindset tende a focalizzarsi sui risultati più che sui processi di sviluppo e apprendimento, e quando non riesce a ottenere un risultato positivo in un compito, tende a evitare il giudizio negativo e scappare dalle proprie difficoltà. Coloro invece che hanno una growth mindset sono invece focalizzati sul processo di apprendimento e l’incremento di capacità e competenze, e quando non superano un compito non dubitano delle proprie capacità, ma si focalizzano sul migliorarle (Carol Dweck, 2015).
Come persone non siamo destinati ad avere né un fixed né un growth mindset. Potrebbe accadere, anzi, che in diverse occasioni la nostra mente pensa con una teoria dell’intelligenza fissa oppure in crescita: questo non deve spaventare. Capire come pensiamo e ci pensiamo quando affrontiamo un compito, può aiutarci a centrare meglio l’obiettivo.
L’alleanza con i bambini, i ragazzi e le famiglie ha il fine ultimo di far loro acquisire la consapevolezza che nessun fallimento è per sempre: ancora più degli adulti, i giovani e giovanissimi sono in continua crescita, in uno sviluppo progressivo di nuove capacità e competenze, che essi abbiano un DSA o meno. Avere in mente che le nostre competenze possono essere accresciute e migliorate è una buona base di partenza per affrontare le sfide quotidiane!
Tornando alla domanda iniziale, per supportare efficacemente figli e alunni con DSA la prerogativa fondamentale è dare loro fiducia, credere nel percorso di crescita e apprendimento che stanno affrontando, curando la relazione e gli aspetti emotivi, facendoli sentire accolti e sostenuti in un clima sereno e positivo, in continuità tra i diversi contesti educativi, a scuola e a casa.
* Valentina Osti, educatrice e laureanda alla facoltà di psicologia. Lavora con bambini e ragazzi con disturbo specifico dell’apprendimento presso lo Spazio Compiti per DSA del centro clinico Prometeo.