Di Yuri Benaglio
Operatore presso il Centro Sammartini
“Bravo, la sua è una bella storia.”
Sono le parole della mia collega, l’assistente sociale Sandrine, quando le dico che mi piacerebbe raccontare di un suo utente, A., un utente che ha avuto a che fare con il Centro Sammartini dal lontano settembre 2015.
A., in Italia dal 2012, abitava in una casa con conoscenti e connazionali (nell’ultimo periodo come ospite non pagante) finché gli affittuari gli hanno comunicato di non poterlo più ospitare. È iniziato così un lungo calvario. È stato orientato in alcune strutture di accoglienza private. È sparito per un paio di anni, tornando nel 2018 a chiedere di nuovo un posto letto. Ancora una volta è stato orientato agli ostelli. È entrato nell’agosto del 2018 in una struttura di accoglienza, da cui è stato dimesso pochi giorni dopo per assenze ingiustificate. Nel corso dell’anno è tornato altre volte a chiedere il posto letto. Si è autodimesso da un’altra struttura di accoglienza (privata) in cui non si trovava bene. È entrato in Piano Freddo, il suo primo Piano Freddo in convenzione con il Comune, strutture emergenziali pensate per offrire un riparo al caldo durante il gelo invernale.
Si è ripresentato nel giugno 2019. Provato, stanco, alcolista, era una delle tante anime perse che gravitano attorno alla Stazione Centrale. Pochi giorni dopo è entrato in un’altra struttura di accoglienza, dove ha effettuato un primo colloquio con una nostra ex collega. Un primo aggancio.
È stata l’occasione per ripensare ai primi momenti in Italia e agli eventi che, nel giro di sette anni, lo hanno portato alla situazione attuale. Ai tempi aveva disponibilità economica: Inverigo, Roma, Treviglio, Sesto San Giovanni con una stanza in affitto e una residenza. Gli viene spiegato che l’ingresso e le proroghe nelle strutture di accoglienza comunali sono vincolati all’attivazione di una progettualità, di un percorso di progressivo recupero dell’autonomia perduta. Nel suo caso, vincolati principalmente alla gestione del suo enorme problema con l’alcool. A. faticava spesso a stare in piedi, è capitato di doverlo sostenere nel fare le scale, non erano infrequenti ferite conseguenti a cadute. È stato visto più volte davanti alla stazione di Cadorna con un bricco di vino in mano facendo discorsi al vento. Aggancio al NOA, il servizio che si occupa di dipendenze: questo era il suo vincolo. In realtà da quella struttura, in cui si era presentato sanguinante dopo una presunta aggressione subita in un parco, è stato espulso dopo aver messo le mani addosso a un altro ospite.
Poi è arrivata Sandrine. Il primo colloquio di A. con Sandrine risale a gennaio 2020. Nel corso di questo colloquio vengono stabiliti i punti principali del percorso da intraprendere: presa in carico del NOA, ricerca di un lavoro, residenza fittizia su Milano. Il mese successivo viene inserito in una struttura di accoglienza ordinaria, di quelle aperte tutto il giorno e tutto l’anno.
Arriva il covid e A. inizia a chiamare tutti i giorni il suo nuovo punto di riferimento.
Hanno un patto, i due: il signore può chiamare la nostra Sandrine tutte le volte che si sente insicuro o tentato dall’alcool. Funziona. È da agosto 2020 che A. non tocca un goccio di alcool. È la prima grande vittoria, il primo risultato di una lunga serie. La salute mentale è andata migliorando, i colloqui di lavoro sono aumentati, un corso da magazziniere organizzato dalla Croce Rossa gli ha permesso di conseguire il patentino per muletto.
È arrivata la residenza (fittizia, un servizio comunale indirizzato specificamente ai senza dimora), ha presentato domanda di casa popolare. Ad aprile di quest’anno, visti i progressi registrati negli ultimi mesi, Sandrine ha pensato a una segnalazione in un centro di seconda accoglienza. Ha dovuto un po’ combattere e insistere, come da suo stile, e ha avuto ragione.
Un paio di settimane fa A. ha lasciato la nostra struttura in cui era ospitato da un anno e mezzo ed è entrato in questo centro. Una soluzione più idonea alle sue esigenze in un contesto meno caotico. Una volta entrato, A. non ha perso l’esigenza di chiamare Sandrine ogni giorno. Lei gli ha spiegato, con il giusto equilibrio tra dolcezza e fermezza, che essendo uscito dal circuito delle strutture di accoglienza comunali non può più fare riferimento esclusivo a lei. Lei sarà per lui un jolly, proprio così gli ha detto. “Chiamami solo se non avrai davvero nessuno a cui rivolgerti”.
Il grandioso lavoro di rete che è stato fatto tra tutti i servizi che lo hanno seguito (NOA, CPS, SSPT, Centro Sammartini) ha dato ottimi frutti. Ora manca solo il tassello lavoro. Chiedo a Sandrine se secondo lei ce la farà. La risposta non lascia spazio a dubbi: “Fa più colloqui di tutti noi messi assieme. Lo troverà”.