Di Simona Novara*
Questo è il pensiero che pervade migliaia di genitori durante il periodo estivo, soprattutto quelli che hanno dovuto faticare durante l’anno scolastico e che si ritrovano nuovamente a fare delle “lotte“ per stimolare i propri figli ad adempiere a questo obbligo.
Facciamo un passo indietro: da sempre c’è una lunga diatriba pedagogica sul senso e sul valore di assegnare o meno i compiti delle vacanze. In tal senso non c’è una regola e non c’è omogeneità. Vi sono docenti che assegnano compiti delle vacanze e altri che ritengono importante un meritato riposo anche se, recentemente, sulla questione compiti delle vacanze è intervenuto il MIUR (Ministero dell’Istruzione) cercando di stabilire delle indicazioni sull’assegnazione.
Vediamo insieme quali sono le argomentazioni di chi è favorevole e quali quelle di chi è contrario:
Per i sostenitori sembra che l’idea di avere, anche durante il periodo estivo, dei compiti sia importante per:
- una continuità didattica per poter sostenere le competenze e le abilità conseguite durante l’anno scolastico: un periodo di assenza di stimolazione potrebbe “offuscare” tali apprendimenti;
- metabolizzare gli argomenti trattati: avendo più tempo e potendolo gestire più liberamente sembra più possibile cristallizzare dei concetti trattati durante l’anno;
- rendere necessari dei momenti quotidiani più “culturali”che possano riportare gli studenti ad una fase più riflessiva e di allenamento mentale;
- stimolare l’autonomia e il senso di responsabilità;
- acquisire un metodo di studio.
Vi è invece chi si pone decisamente contro perché:
- i compiti durante il periodo estivo possono sembrare un noioso obbligo da parte degli studenti creando uno scollamento maggiore di motivazione verso lo studio e l’apprendimento stesso;
- l’estate viene percepita come un momento ricreativo per potersi rigenerare delle fatiche dell’anno, quindi “obbligare” gli studenti a svolgere qualcosa è contrario al concetto di riposo, diverso sarebbe se fossero su base volontaria.
Un contributo molto importante alla questione “compiti sì / compiti no”, ci proviene da Maurizio Parodi, Dirigente Scolastico, pedagogista e autore di “Basta compiti! Non è così che si impara” che già nel 2018 ha stilato un vero e proprio decalogo che regolamenta l’assegnazione dei compiti estivi e tratta temi riguardanti le esigenze dei ragazzi, l’obbligo di correzione da parte dei docenti, il divieto di mettere il voto sul loro svolgimento e di assegnare i compiti in base alla reale capacità di svolgerli.
Questo decalogo era arrivato all’allora Ministro dell’Istruzione Marco Bussetti che aveva posto l’attenzione sul valore del tempo e del riposo, volendo far riflettere tutto il corpo docente sulla quantità e qualità dei compiti assegnati nel periodo estivo, compiti che poi tendono ad essere un peso sia sugli studenti, sia sui genitori stessi che anche in questo periodo devono controllare e supervisionare il lavoro svolto dai propri figli.
L’esigenza di dare dei compiti nasce anche dal fatto che il periodo vacanziero per gli studenti italiani è di tre mesi, un periodo piuttosto elevato che potrebbe portare a forme di lacune o “dimenticanze” soprattutto per concetti poco metabolizzati.
Negli altri paesi come la Germania il periodo estivo di vacanze risulta più breve favorendo altre pause durante l’anno, in Svizzera i compiti sono ridotti o specifici per chi ha lacune da colmare, mentre negli Stati Uniti sono legati in progressione all’età dello studente.
Come mamma e come psicologa scolastica che lavora da anni sull’apprendimento e sul potenziamento cognitivo cerco di pormi in un’ottica di mediazione riguardo i compiti durante il periodo estivo.
Quindi compiti delle vacanze sì, ma in una prospettiva diversa:
- È opportuno che i compiti fossero calibrati sulle reali necessità di ogni studente, concentrandosi sulle lacune e sulle fragilità emerse durante l’anno scolastico, magari lasciando a margine i concetti e gli argomenti che sono stati interiorizzati adeguatamente.
- Possono essere un’ottima palestra per esercitare l’autonomia e la programmazione di tempi e modi senza avere il “fiato sul collo” per la data di consegna o della verifica, che dettano i tempi durante l’anno scolastico. In questo modo si potrà in parte ovviare al senso di “obbligo” che aleggia intorno a queste incombenze facendole percepire in modo diverso e potrà influenzare positivamente anche la motivazione nel fare i compiti, perché la prospettiva mentale sarà contraddistinta da più libertà personale.
- Questi compiti possono essere l’occasione per focalizzare l’attenzione sulla modalità in cui vengono fatti, individuando o potenziando il proprio metodo di studio.
Sia gli studenti che i genitori potrebbero quindi predisporsi al compito estivo vedendolo non come l’ennesimo stress da dover fronteggiare, ma come “opportunità” di crescita psicologica che si focalizza anche sulla responsabilità e sull’autonomia, in grado di influenzare anche altri aspetti della vita del bambino/ragazzo oltre a quelli strettamente didattici.
Inoltre, i genitori, avendo in questo periodo in alcuni casi più tempo e spazio, sia fisico che mentale, riuscirebbero probabilmente a porsi diversamente nei confronti delle possibili difficoltà di esecuzione che il proprio figlio può incontrare e si potrebbe costruire una modalità di dialogo tra genitori e figli che durante l’anno è sfilacciata dallo stress e dagli impegni lavorativi e familiari.
In conclusione, questa diversa visione del compito estivo può abbassare il livello di attrito esistente tra lo studente e il compito e quindi tra lo studente e i genitori e permette di dedicarsi al vero senso di questo periodo che è quello di “staccare la spina” e “ricaricare le batterie”.
Buone vacanze a tutti!
* Simona Novara, Psicologa, Formatrice, Valutatrice e Applicatrice Metodo Feuerstein. Opera da diversi anni nel settore della riabilitazione, è coordinatrice del Centro Clinico Prometeo di Spazio Aperto Servizi e svolge attività di consulenza psicologica all’interno degli sportelli scolastici (scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado).