La casa di reclusione di Milano Opera è un carcere maschile. Molti dei detenuti sono mariti e padri che da marzo dell’anno scorso hanno dovuto rinunciare alle visite con i propri figli e al contatto con i propri familiari

Abbiamo passato dei mesi intensi, che da un lato hanno prodotto preoccupazione per la propria e altrui salute, ma dall’altro hanno permesso di ripensare a come sentirsi vicini e di sviluppare una buona dose di resilienza e strategie per avere e dare comunicazioni all’esterno delle nostre abitazioni.

Ma nei mesi in cui le persone hanno potuto iniziare a muoversi e ad incontrarsi, i cancelli del carcere di Opera, per i minori di 12 anni, sono rimasti chiusi, per ragioni sanitarie di contenimento del contagio. Questo ha provocato sensazioni di ingiustizia e per molti padri, il senso di isolamento già insito nella condizione carceraria, si è amplificato sempre di più.

Con il progetto “Genitorialità in carcere”, ci avviciniamo a loro, in particolar modo nelle situazioni di maggiore conflitto familiare, per sostenerli nei momenti di solitudine, sconforto e rabbia, per facilitare i contatti tramite le brevi videochiamate garantite e aiutarli a mantenere un filo invisibile di comunicazione con i loro cari.

Entriamo coperti di mascherine e visiera, li aspettiamo in stanze predisposte e ascoltiamo le loro storie, come quella di Alessandro, che vede e sente sua figlia di 4 anni, una volta a settimana in videochiamata. Alessandro esprime felicità e soddisfazione nel descrivere le comunicazioni con lei, la gioia nel poterla vedere tra i suoi giochi, nella sua cameretta; anche questo in fin dei conti è un’esperienza nuova. E poi ci sono momenti di profonda tristezza, attraverso l’espressione di una grande voglia di contatto fisico e di abbracci e di una sensazione amplificata di mancanza e vuoto quando finiscono questi brevi momenti di chiamata.

Raccogliamo queste sensazioni e il loro timore di aumentare sempre di più la distanza con i loro figli, specialmente per i bambini più piccoli o appena nati che faticano ad utilizzare questi diversi strumenti di comunicazione e chiediamo, dove possibile, l’aiuto dei familiari, perché possano rendere il dialogo il più fluido possibile. Dall’altro lato occorre anche lavorare per diminuire le aspettative dei detenuti e aiutarli a comprendere che le difficoltà, come il coinvolgimento o l’attenzione davanti ad uno schermo, non è solo personale ma è soprattutto condivisa dai loro stessi figli.

Parlando di modalità alternative e nuove strategie, sono ricomparse in molte situazioni le lettere e i bigliettini scritti a mano. Giuseppe e Omar, nel corso di un colloquio hanno mostrato fieri e con gli occhi umidi i disegni, i cuori e i messaggi dei loro bambini, a volte accompagnati da una fotografia.

Lo scopo è quello di riuscire a passare un messaggio di speranza, più che di attesa, che attraversi il video e arrivi dritto a coloro che vorrebbero avere vicino.