di Barbara Bersani
Educatrice nel Centro Prima Accoglienza dell’Istituto Penale per Minorenni “Cesare Beccaria” di Milano
“Facile è cavalcare una tigre, difficile è scendere” (Proverbio cinese)
Giulio (nome di fantasia) si sente bello, ti fissa negli occhi e ti sfida. Sa di essere potente nei suoi quindici anni appena compiuti e con un lessico cortese, molto ponderato, si descrive e accetta il colloquio con l’educatrice del Centro di Prima Accoglienza. Dopo un inizio un po’ zoppicante è riuscito a iscriversi al primo anno di meccanica, la settimana prossima deve iniziare lo stage.
Tra qualche giorno incontrerà il Giudice delle Indagini Preliminari che deciderà, dopo averlo ascoltato, dove collocarlo in attesa dell’inizio del processo. L’educatrice lo accompagnerà in questo primo momento, dal suo ingresso al Centro di Prima Accoglienza sino all’udienza di convalida dell’arresto.
Si sente un uomo “fatto e finito” che sa bene cosa vuole e come prenderselo. Parla con sicurezza senza mai cadere nel volgare o nella boria. È stupefacente osservarlo in un ragazzino di soli quindici anni.
Eppure Giulio porta le motivazioni delle sue azioni o dei suoi ragionamenti come una conseguenza logica al suo “sentire” e alla proiezione che ha di sé.
Si è fatto la doccia e indossa una t-shirt bianca, dei pantaloni grigi della tuta in dotazione dell’Istituto, in attesa che la madre gli porti il borsone con i suoi effetti personali. Il non essere nei propri panni lo infastidisce ma riesce a sopportare.
Pur essendo al suo primo arresto, non ne teme l’ambiente e il clima. Lui conosce molti ragazzi, suoi amici che sono passati dal “Beccaria”, e questo in qualche modo lo rassicura.
Aveva bisogno di adrenalina e perché non rapinare una donna dell’età della madre? Ha colto l’occasione. La borsa era aperta ed era tutto a portata di mano. Recuperata la carta della Postepay è entrato in panetteria e ha comprato una focaccia e delle bibite energizzanti. Poi dritto al parco per incontrare gli altri, alcuni dei quali coimputati in altre rapine e in lesioni, per passare il pomeriggio.
È stanco di parlare. Non si alza per cortesia e galanteria, risponde alle domande e alle riflessioni dell’adulto con astuzia, rimanendo coartato. Il colloquio continua solo perché sollecitato dall’educatrice senza mai sbavature o eccessi (in fondo a ben pensarci, quando mai nella adolescenza di ognuno di noi, hanno chiesto di descriverti e di ripercorrere la propria vita e quello che sta capitando?)
Poi succede qualcosa.
Il corpo ricorda, il corpo parla, e seppur la narrazione è altra, Giulio trema, si impaurisce e subito dopo si “sente” una ferocia che esplode dentro ma che lui ricaccia velocemente nel profondo.
Ecco la breccia. Ecco che la tigre feroce si è palesata.
Non accade sempre così, ma quando avviene bisogna stare molto attenti a quel che si fa. È un dono prezioso. Quello che sino ad ora era il ragazzo ponderato e quasi impermeabile, mostra il fianco. La rabbia potente cela altro. Il violento, il bullo cala la maschera.
Dichiarare il visto e il “sentito” a volte risulta essere un azzardo, ma di fatto il percorso e la relazione in Istituto è un percorso anche di autenticità o, per lo meno, deve tendere ad esso.
Così Giulio, nello sforzo di badare alla tigre, ricaccia in gola il magone e le lacrime e, ancor prima che la breccia si risaldi, l’adulto allunga la mano e afferra la tigre, l’accoglie senza sbeffeggiarla e cercando il più possibile di non giudicarla.
“Sei molto arrabbiato. Va bene così.”
Giulio non risponde, ma la stanza è piena di silenzio che finalmente parla.
Un bicchiere d’acqua e Giulio precisa, rindossando la maschera, che lui o torna a casa o si fa il carcere. “Io in comunità non vado.”
Il Giudice lo colloca in carcere e Giulio “mascherato” fa ingresso in “Beccaria” portando con sé la tigre piena di paura e pronta ad attaccare.
Dopo un percorso di alcuni mesi di carcere, Giulio chiede ed ottiene la trasformazione della misura con il collocamento in comunità. Ha sperato sino all’ultimo di rientrare a casa, come il suo coimputato, ma ancora no. Ci sono ancora molti aspetti da sostenere per evitare di ricaderci.
La tigre è carica, ma Giulio si è permesso di vederla e di farla conoscere al gruppo di educatori, alla psicologa e agli insegnanti che lo hanno seguito in questo malaugurato, o forse no, passaggio in carcere.
Riprendendo le parole e i concetti del Giudice di Sorveglianza del Tribunale per i Minorenni, Dott.ssa Brambilla: “È nella relazione, seppur complessa, che si pone la chiave di svolta per far sì che il minore riesca a ricucire la fiducia e curare la sua sofferenza. Poter creare dei momenti significativi e percorsi di esperienze diversificate, permette di leggersi capaci in altro e potenti in modo differente.”
Questa è la peculiarità del penale minorile che si pone sfide e percorsi il più individualizzati possibile nell’ottica del minore come individuo nel divenire.
Essere creatori di un proprio progetto, e quindi diventarne architetti, è il miglior bagaglio che si possa auspicare per un adolescente, anche e soprattutto in un percorso penale.