La cura parentale è ancora oggi uno dei terreni dove le differenze di genere si manifestano con maggiore evidenza.
I dati lo confermano: secondo l’indagine ISTAT “I tempi della vita quotidiana” (2019), le donne dedicano in media oltre 5 ore al giorno al lavoro di cura non retribuito, contro le 2 ore e 16 minuti degli uomini.
Un’analisi più recente dell’INAPP, l’Istituto Nazionale di Analisi delle Politiche Pubbliche – “Tra produzione e riproduzione: l’onere del lavoro non retribuito sulle disparità di genere”, 2023 – evidenzia come siano ancora le donne a portare principalmente il carico di cura, pur registrando un maggiore coinvolgimento dei padri nelle generazioni più giovani.
Il nostro impegno per la parità di genere significa anche contribuire a cambiare questo scenario, valorizzando esperienze, promuovendo strumenti e diffondendo una cultura della parità che aiutino a superare stereotipi radicati, come quello che vede la cura di figli e figlie come un compito esclusivamente femminile.
In questa prospettiva, vogliamo raccontare l’esperienza di Giacomo, educatore del nostro Centro Diurno per persone con disabilità, che lavora in SAS dal 1998.
Un anno e mezzo fa si è trovato ad affrontare una situazione familiare molto complessa, che ha riguardato la salute di suo figlio di 5 anni e che lo ha portato a fare la scelta importante di richiedere il congedo straordinario previsto dalla Legge 104.
“Prendere il congedo è stata una scelta necessaria, fondamentale per stare vicino a mio figlio.”
Il congedo straordinario è una misura dell’INPS che consente al genitore lavoratore/lavoratrice di dedicarsi interamente alla cura del proprio figlio o figlia in un frangente di particolare necessità, garantendo la retribuzione al 100%.
Si tratta di uno strumento prezioso, ma non privo di limiti: non prevede, infatti, la maturazione di ferie, TFR, tredicesima e quattordicesima.
“Con mia moglie ci siamo guardati negli occhi e abbiamo scelto insieme che fossi io a supportare nostro figlio nel suo percorso medico durante le ospedalizzazioni. Questa scelta ha fatto bene anche a me: stare fisicamente accanto a mio figlio era l’unico modo che avevo per affrontare la paura di quello che stavamo vivendo.”
La decisione è arrivata da un confronto profondo tra Giacomo e sua moglie: tra i due, è stato lui a sentirsi pronto ad affrontare da vicino la situazione.
Al tempo stesso questa scelta è stata la più sostenibile sul piano pratico ed economico: la moglie di Giacomo, infatti, ha potuto beneficiare della donazione di ferie da parte di colleghi e colleghe, accedendo alle “ferie solidali”.
Le ferie solidali sono una misura che consente ai dipendenti di un’azienda di cedere alcune giornate di ferie a favore di colleghi che necessitano di assentarsi oltre il mese di ferie a disposizione o il periodo di malattia indennizzata. Da aprile, grazie al Contratto integrativo territoriale, sono normate anche per noi lavoratrici e lavoratori del settore delle Cooperative sociali, colmando finalmente una lacuna legislativa che sentivamo stridere con i nostri valori mutualistici.
Le ferie solidali possono diventare una leva concreta anche per promuovere la parità di genere nella misura in cui, in un nucleo familiare, possono contribuire a distribuire il carico di cura su più soggetti che lavorano, senza che nessuno debba subire un impatto economico che poi ricade su tutta la famiglia.
Storie come quella di Giacomo ci ricordano che la cura e l’accudimento dei figli non sono un compito esclusivo delle madri, ma possono – e devono – essere condivisi anche dai padri, rompendo stereotipi e costruendo una cultura della parità concreta.